Descrizione:
Il comune è interamente situato sulla destra orografica della val Seriana, in corrispondenza della confluenza del torrente Vertova nel fiume Serio, ad un’altezza di compresa tra i 395 m s.l.m. della piana alluvionale ai circa 1.800 delle propaggini del monte Alben. Amministrativamente è delimitato a Sud-Est dal corso del fiume Serio, che lo divide dal comune di Casnigo, a Sud da Fiorano al Serio mediante il monte Clocca (594 m s.l.m.), mentre a Sud-Ovest ed Ovest il limite territoriale è dato dal corso del torrente Vertova, situato nell’omonima valle, che lo suddivide amministrativamente da Gazzaniga. A Nord-Ovest il confine ricalca lo spartiacque orografico che va al monte Suchello al monte Secretondo (propaggine del monte Alben), tra le valli Seriana e Brembana, divisione naturale con il comune di Cornalba. A Nord e Nord-Est è invece il crinale che scende dall’Alben fino al monte Cavlera a delimitare territorialmente Vertova prima con la val del Riso ed il municipio di Oneta, e nel suo tratto finale con Colzate, con cui divide anche parte del fondovalle. La gran parte della popolazione risiede nel nucleo abitativo posto nel fondovalle lungo l’asta del fiume Serio che, per via dell’espansione edilizia avvenuta nella seconda parte del XX secolo, risulta essere ormai fuso con soluzione di continuità con i limitrofi paesi, in quella che viene ormai definita come una città allungata che si protrae da Bergamo fino a Colzate, includendo anche la frazione di Semonte, posta a Sud del capoluogo. Uno scorcio della val Vertova Addentrandosi nella valle Vertova, sia nel fondovalle che sulle pendici dei monti circostanti, il livello di antropizzazione si fa via via sempre più limitato, fino a diventare pressoché nullo. Un'eccezione è data dal piccolo borgo di Cavlera, posto sull'omonimo monte, nel quale sono concentrate un discreto numero di abitazioni, per lo più seconde case, abitate soltanto da una manciata di residenti. Per ciò che concerne l’idrografia, oltre al fiume Serio, numerosi sono i corsi d’acqua che attraversano il territorio comunale. Il principale è il Vertova, affluente del Serio da destra, che si sviluppa nell’omonima valle e che raccoglie le acque di numerosi piccoli rivoli composti dalle acque in eccesso provenienti dalle propaggini circostanti. Tra questi vi sono quelli che solcano le piccole vallette laterali, tra le quali la val Gromalt, la val Scapla e la val del Gru che confluiscono dal versante orografico destro, mentre quelli della val Masma, val di Osei (entrambe si sviluppano dalle propaggini del monte Cavlera), val Lacnì e val Sterladec dal versante sinistro. Nella zona alluvionale è presente anche un canale artificiale che scorre parallelamente al corso del Serio, da cui prende vita presso Colzate, e rigetta le acque nel Serio poche centinaia di metri più a valle, dopo aver alimentato alcune piccole aziende tessili. La viabilità interna del paese ha una rete stradale ordinaria molto semplice, facente riferimento principalmente alla vecchia provinciale che collega il paese con Colzate e Fiorano al Serio mantenendosi al limite dell’abitato, esternamente al quale, a fianco del fiume Serio, scorre invece la superstrada di scorrimento della valle Seriana. Tra queste due arterie è posta la zona industriale, in cui sono presenti attività commerciali ed artigianali sia storiche che di recente insediamento. I primi insediamenti umani sarebbero riconducibili al VI secolo a.C. quando nella zona si stabilirono popolazioni di origine ligure, dedite alla pastorizia, tra cui gli Orobi. Ad essi si aggiunsero ed integrarono, a partire dal V secolo a.C. le popolazioni di ceppo celtico, tra cui i Galli Cenomani. Si trattava tuttavia di presenze sporadiche, che non formarono mai un nucleo abitativo definito. La prima vera e propria opera di urbanizzazione fu invece opera dei Romani, che conquistarono la zona e la sottoposero a centuriazione, ovvero ad una suddivisione dei terreni a più proprietari, a partire dal I secolo a.C. Questa opera assegnò appezzamenti più o meno vasti a coloni e veterani di guerra, di origine o acquisizione romana, i quali bonificarono i terreni al fine di poterli sfruttare per coltivazioni agricole ed allevamento di bestiame. In ogni caso durante questo periodo gli abitanti si basavano su agricoltura, principalmente nella piana del fondovalle, e pastorizia, nella zona collinare. Il centro abitato aveva dimensioni molto ridotte e si sviluppava attorno alla strada che collegava Bergamo con Clusone e l’alta val Seriana, in quel tempo importante centro di estrazione mineraria, percorrendo la zona ai piedi della montagna. In tale periodo pare che i nuovi dominatori avessero insediato, nella zona più elevata del fondovalle, un tempio dedicato alla divinità pagana di Vertumno da cui, secondo la leggenda, il paese avrebbe poi tratto il suo nome[6]. Al termine della dominazione romana vi fu un periodo di decadenza ed abbandono del centro abitato, con la popolazione che sovente era costretta a cercare riparo sulle alture circostanti al fine di difendersi dalle scorrerie perpetrate dalle orde barbariche. La situazione ritornò a stabilizzarsi con l’arrivo dei Longobardi, popolazione che a partire dal VI secolo si radicò notevolmente sul territorio, influenzando a lungo gli usi degli abitanti: si consideri infatti che il diritto longobardo rimase “de facto” attivo nelle consuetudini della popolazione fino alla sua abolizione, avvenuta soltanto nel 1491. Con l’arrivo dei Franchi, avvenuto verso la fine dell’VIII secolo, il territorio venne sottoposto al sistema feudale, con il paese che inizialmente venne assegnato, al pari di gran parte della valle, ai monaci di Tours per poi essere infeudato al Vescovo di Bergamo. A tal riguardo è importante segnalare la figura del vertovese Alcherius (o Alcherio), della famiglia degli Alcheri, che ricoprì la carica di Vescovo di Bergamo dal 1013 al 1022. Con il passare degli anni al potere vescovile si affiancò quello di alcune famiglie della zona, che riuscirono ad ottenere sempre più spazio, passando dal ruolo di grandi proprietari a quelli di feudatari de facto. È il caso della famiglia Albertoni, i cui membri vennero insigniti della carica di conti e capitani di Vertova, con l’elemento di maggior spicco nella persona di Bernardo, che già nel 1160, risulta feudatario diretto dell’episcopato. Questo casato si radicò sul territorio vertovese al punto di creare una propria residenza fissa con tanto di cinta fortificata che ben presto assunse le fattezze di un vero e proprio castello (detto appunto Castello dei Capitanei degli Albertoni), entro il quale vi era una chiesa dedicata a santa Caterina, una roggia privata e la “luvera”, ovvero una buca con galleria sotterranea da utilizzare in caso di assedio. Nel corso della seconda metà del XII secolo cominciarono a svilupparsi i primi sentimenti di autonomia da parte delle città lombarde, contrastati però da Federico Barbarossa, imperatore del Sacro Romano Impero. Quest’ultimo condusse numerose campagne in Italia, tra cui quella del 1166 quando scese in val Seriana attraverso la val Camonica, occasione in cui i soldati imperiali diedero alle fiamme il borgo di Vertova, unitamente a quello di Fiorano, in quanto gli abitanti si erano rifiutati di dar loro da mangiare. Tuttavia la spinta autonomistica non fu fermata, tanto che nel 1210 Vertova scelse di confederarsi con i comuni limitrofi nella Confederazione de Honio, un’istituzione sovra comunale che aveva il compito di gestire i beni indivisi quali prati, pascoli, boschi, sotto il controllo di un feudatario, incaricato dal vescovo di Bergamo, a sua volta investito dall'imperatore del Sacro Romano Impero. Il passo successivo fu quello di emanciparsi definitivamente dal giogo feudale, redigendo nel 1235 il primo statuto che diede il via all’esperienza comunale. Negli statuti della città di Bergamo redatti nel XIV e XV secolo Vertova risulta inserita nella circoscrizione denominata facta di san Lorenzo, con confini territoriali pari 250 ettari, circoscritti quindi al solo centro abitato, in quanto il resto era affidato al Concilio. Nel frattempo il paese si era ritagliato un importante spazio nella pastorizia, con ingenti produzioni di pelli, latticini e lana. Si stima difatti che nel corso del XII secolo nel paese vi fossero più di 15.000 pecore, a fronte di una popolazione di circa 1.500 anime. Questo portò alla fioritura dell’industria laniera, che ben presto rese Vertova il mercato di riferimento della media valle, sia per la tessitura che per la filatura della lana. Ciò garantì un grande benessere alla popolazione anche per via dell’indotto: numerosi erano difatti i tosatori di pecore, i fabbri ed i falegnami per la costruzione di telai, i carrettieri per il trasporto dei materiali, gli operai del follo per la tintura, la striatura, la cimatura e la cardatura di quello che venne chiamato panno grosso bergamasco. Mappa della Confederazione de Honio I commerci si spinsero anche oltre confine, così come testimoniato dal fatto che alcuni nuclei di commercianti di Vertova entrarono in contatto con degli irlandesi, venendo per questo chiamati Ibernini (da Iberna, antico nome dell’Irlanda), il cui cognome fu poi fissato in Bernini. Essi importarono inoltre il culto di san Patrizio, tanto da fondare una chiesa a lui dedicata in località Gromi, a monte di Colzate, località allora inclusa nei confini vertovesi. Conseguentemente il centro abitato ebbe un notevole sviluppo, tanto da dotarsi di quattro porte d’accesso poste ai punti cardinali, al cui interno vi era un castello e ben sette torri. La vita pubblica era regolata dall’Arengo, un’assemblea popolare che veniva convocata una volta all’anno nella piazza del castello (dove ora sorge la chiesa parrocchiale) il giorno del solstizio d'estate, ed ogni famiglia aveva l’obbligo di presenziarvi tramite un proprio rappresentante compreso tra i 15 ed i 70 anni. L’assemblea eleggeva 21 credendari, sette per ognuna delle tre contrade (Druda, Bernazio e Nunglaqua), i quali a loro volta nominavano due consoli che avevano compito di legiferare e potere di delibera. Questi ultimi rimanevano in carica un anno e non potevano essere rieletti se non dopo sei anni. Anche la famiglia Albertoni si adeguò ai cambiamenti, dal momento che ben sei dei suoi membri, seppur in tempi differenti, ricoprirono questo incarico. Poco dopo, nel 1263, La Confederazione de Honio venne sciolta, anche se mantenne ugualmente nel corso dei secoli successivi i suoi statuti per ciò che riguardava la parte montuosa del territorio, cessando di esistere soltanto nel 1827. In seguito a ciò Vertova optò, nel 1331, per un’unione fiscale con il vicino borgo di Colzate. Ben presto tuttavia cominciarono a verificarsi attriti tra gli abitanti, divisi tra guelfi e ghibellini, che raggiunsero livelli di recrudescenza inauditi. L’appartenenza del paese all’una o all’altra fazione ha sovente diviso gli storici, anche se ormai pare universalmente accettata l’idea di una Vertova ghibellina, teoria perorata in primis da Bortolo Belotti. Numerosi furono difatti gli esponenti della suddetta parte, anche se non mancarono appartenenti allo schieramento guelfo. Le cronache del tempo raccontano di numerosi episodi tragici in tutta la provincia di Bergamo, che venne dilaniata da questa sanguinosa faida. Tra i documenti che attestano episodi in cui fu coinvolto il borgo o qualche suo abitante, vi sono quelli che raccontano di tale Ugotto da Vertova che il 18 aprile 1379 fu condotto a Bergamo davanti al Vescovo ed ai luogotenenti dei Duca di Milano, insieme ad altri 140 ghibellini, per rispondere dei delitti di cui si era reso protagonista. Oppure quando, un mese più tardi, precisamente l’11 maggio, nel paese trovò alloggio una colonna di 1.200 ghibellini provenienti dalle città vicine, intenti a muovere aiuto ai ghibellini della valle Seriana superiore assediati nel castello di San Lorenzo presso Rovetta. Ma gli eventi che segnarono la storia del borgo avvennero nel 1398. In quell’anno il paese fu attaccato una prima volta da una guarnigione di circa mille guelfi il 19 maggio, quando gli assalitori furono però costretti al ritiro a causa del contrattacco ghibellino. Questo evento provocò la volontà di rivalsa da parte dei guelfi che, dopo aver organizzato un esercito di circa seimila unità provenienti dalle province di Bergamo, Brescia e Milano, il 10 giugno devastarono il nucleo abitato uccidendo 34 uomini e 10 donne, depredando tutto quanto fosse possibile e bruciando 500 abitazioni, con i danni che furono valutati in circa 10.000 lire imperiali. Si salvò soltanto il castello degli Albertoni e sei case poste sotto la sua protezione. Terminata questa furia distruttrice il paese subì un forte contraccolpo, tanto che ci vollero decenni prima che la situazione ritornasse alla normalità. Difatti numerosi abitanti abbandonarono le proprie case, al punto che su 300 famiglie ne rimasero soltanto 25, con conseguente perdita del prestigio sociale ed economico che Vertova aveva acquisito fino a quel momento. Alla definitiva pacificazione si arrivò pochi anni più tardi grazie al passaggio alla Repubblica di Venezia, avvenuto nel 1427 dopo un’espressa richiesta di Bergamo e delle sue valli, e ratificato dalla Pace di Ferrara del 1428. La Serenissima inserì Vertova nella Quadra della val Seriana di Mezzo, con capoluogo Gandino, e diede il via ad un periodo di tranquillità in cui l’intera zona riprese a prosperare, garantendo una diminuzione della pressione fiscale ed offrendo maggiore autonomia. In quegli anni si verificarono episodi che evidenziarono la spiccata animosità degli abitanti. In primo luogo la lite con gli abitanti di Oneta per lo sfruttamento dei boschi posti sul lato sinistro della Val del Riso. Secondo i vertovesi difatti questi spazi erano sfruttati in modo illegittimo dagli abitanti di Oneta, tanto da organizzare contro questi una spedizione armata, avvenuta il 18 maggio 1548. A ciò seguirono numerose vertenze, culminate con una sentenza che nel 1594 obbligò Vertova al versamento di una somma come parziale indennizzo dei danni procurati. Problemi si verificarono anche all’interno dei confini comunali, con una diatriba che vide schierati da una parte gli abitanti “originari”, dall’altra i “forestieri” immigrati da paesi o città vicine. I primi difatti non volevano che i secondi utilizzassero liberamente i beni comuni. La situazione venne definita mediante l’accordo che fissava in vent’anni di residenza nel paese con obbligo di pagare tutte le tasse, il limite per essere considerato “originario”. Chi non rientrava in questo parametro fu obbligato al pagamento di un indennizzo per l’usufrutto delle proprietà collettive. Altri dissidi si verificarono anche in ambito religioso, con le parrocchie di Fiorano e Vertova intente a contendersi l’assegnazione del borgo di Semonte. Quest’ultimo infatti, amministrativamente ricadeva nei confini di Vertova, mentre a livello religioso era, da sempre, competenza di Fiorano. La vertenza fu risolta mediante un decreto del cardinale Pietro Priuli che, in data 23 ottobre 1723, confermò la pertinenza a Fiorano. Un violento scossone alla tranquillità della popolazione arrivò tra il 1629 ed il 1631, quando la violenta epidemia di peste di manzoniana memoria causò la morte di 1.042 abitanti su un totale di 1.880, oltre il 55% dei residenti. Nella seconda metà del XVIII secolo il paese fu invece colpito dalla crisi della produzione dei panni di lana, dovuta all’importazione di prodotti esteri a prezzo più basso, che mise in ginocchio la pastorizia ed il commercio della materia prima. Ma il potere della Repubblica di Venezia era ormai agli sgoccioli, tanto che nel 1797, in seguito al trattato di Campoformio, venne sostituita dalla napoleonica Repubblica Cispadana. Il cambio di dominazione comportò una revisione dei confini, che portarono Vertova ad inglobare nuovamente il territorio di Colzate, senza tuttavia le frazioni di Bondo e Barbata. Quest’unione durò poco, dal momento che già nel 1805 i due comuni vennero nuovamente scissi. Dopo quattro anni i limiti territoriali vennero nuovamente ridisegnati mediante un’imponente opera di accorpamento dei piccoli centri ai più grandi: in questo frangente Vertova assorbì nuovamente Colzate (sempre senza Bondo e Barbata), che riuscì a riottenere la propria autonomia nel 1816, in occasione del nuovo cambio di governo che vide subentrare l’austriaco Regno Lombardo-Veneto alle istituzioni francesi. Nel 1827 venne definitivamente sciolta la Confederazione de Honio, con Vertova che acquisì formalmente il possesso di tutte le terre collinari e montuose ricoperte dai boschi a Nord dell’abitato. Nella seconda parte del XIX secolo, contestualmente all'Unità d'Italia, si verificò uno sviluppo dell’industria, con numerose realtà che si insediarono e radicarono sul territorio. Un ulteriore impulso venne dall’apertura della Ferrovia della Valle Seriana, che dal 1884 permise il collegamento di merci e passeggeri da Bergamo a Clusone. Anche il numero di abitanti risentì di questa condizione, raddoppiando di numero tra il 1861, quando i residenti erano 1962, ed il 1901, quando passò a 3696 unità. Il livello di crescita della popolazione subì tuttavia una brusca frenata nel XX secolo, assestandosi su valori prossimi alle 4.500 unità.