Descrizione:
San Pellegrino deve il suo nome al vescovo di Auxerre, Evangelizzatore della Francia, martirizzato sotto Diocleziano, diventato patrono della prima comunità cristiana il quale seppe unificare nella fede, prima che nei civili rapporti del libero Comune, sorto intorno al Mille, i diversi nuclei familiari preesistenti e storicamente documentati, che, ancora oggi, si contraddistinguono con i nomi dati dai loro abitatori (Antia -1131, Alino- detto Eli- 1210, Apletto -1207, Sussia -1224, Ruspino, Opulo, Piazzo, Val San Buz- Valsambusso ecc.). Più tardi compariranno i nomi delle famiglie di tali contrade: Busi, Carimani, Salaroli, Sonzogno, Pesenti, Borselli, Mascheroni, Orlandini, Oprandi, Galizzi, Micheli, ecc. Gli storici concordano nel ritenere che queste famiglie erano già presenti nelle contrade sopra citate, ma, chi siano i veri primi abitatori delle terra che verrà poi denominata San Pellegrino, non è facile a dirsi. Gli storici, ancora, ritengono che i fondatori della città di Bergamo siano gli Orobi, di origine Celtica, che si ritirarono un po’ alla volta dalla città verso le Valli (essendo essi in prevalenza popoli incolti, dediti soprattutto alla pastorizia e alla caccia) dinnanzi all’avanzata delle civiltà dei Liguri, degli Etruschi, dei Galli Cenomani e finalmente dei Romani che, con Giulio Cesare, accordarono anche ai bergamaschi la cittadinanza romana. È più probabile invece che, nella nostra Terra, ci sia stata una vita feudale e longobarda. Ne è la testimonianza il “Castello della Regina”, sopra Sussia, che può far pensare ad una tradizione risalente alla regina Teodolinda. Alcuni vocaboli longobardi durano ancora oggi nella nostra parlata: Corte, Brolo, Massaro, Salecc, per indicare certi fondi bassi presso il fiume e perciò adatti al salici (B.Belotti). Anche il tratto di sponda destra del fiume Brembo nel nostro Paese, dall’attuale Palazzo Comunale del Municipio fino al Ponte delle Terme, prima della costruzione del muraglione, era chiamato Salecc. Così come da vocaboli dialettali della botanica derivano le denominazioni di alcune contrade: Falecc (felci) Sambuss (sambuco) Opel (acero), Frasnito- Frasnadel (frasna- sorbo selvatico). Sotto le dominazioni Longobarda e Franca si costituiscono le prime Comunità Cristiane; in questo periodo si assiste ad una fase di assestamento sociale favorita da una politica di esenzione dai tributi e di affrancamento applicata a quegli agglomerati che, situati in aree di confine, erano economicamente poveri, ma strategicamente importanti. Verso l’anno Mille si possono considerare costituiti i centri più importanti della Valle Brembana; di ciò è testimonianza la sempre più frequente citazione dei loro nomi negli atti pubblici e privati degli anni successivi. Gli agglomerati urbani nella zona di San Pellegrino più frequentemente citati sono Opelo, Plazzo, Antia e Piass; compaiono negli atti anche le denominazioni di villaggi minori quali Frasnit, Frasnadel, Apletto ed altri. Nei tre secoli che seguono il Mille si formano nella Valle le “Parrocchie” che sostituiscono le antiche chiese battesimali plebane ,inadatte, ormai, a servire una popolazione sempre più numerosa. Intorno al 1250 nasce la “Ecclesia Sancti Pellegrini”, in località Opelo, ancora dipendente dalla Pieve di Almeno San Salvatore dalla quale si affrancherà del tutto nel 1461. Questa Parrocchia unisce sotto la propria giurisdizione le frazioni di fondovalle e della riva destra del Brembo e conferirà il proprio nome al comune che si sta formando. Risale infatti al 1395 la definizione finale dei confini del nuovo Comune nato su sollecitazione della città di Bergamo intenta ad impedire il costituirsi di qualsiasi minaccia al suo potere nell’ambito del contado, favorendo la costituzione dei “Comuni” ed estendendone le proprie ordinanze e statuti. Per secoli le risorse della Valle, a causa della prevalenza di terreno montano poco produttivo, rimangono limitate alla pastorizia, all’agricoltura di montagna, alla tessitura casalinga ed all’artigianato; queste attività economiche sono sempre integrate dall’emigrazione che rimane una delle principali fonti di reddito dai tempi più antichi fino all’inizio del Novecento. Nel XIV secolo il territorio bergamasco è investito da numerose guerre tra fazioni avverse (guelfi e ghibellini) che portano alla dominazione dei Visconti. Sono costruiti in questo periodo casali fortificati, a Ruspino e alla Torre, e altre modeste fortezze di valico. San Pellegrino si trovava allora al centro di Paesi guelfi per i quali parteggiava: località Pernazzaro-Pracastello sulla sponda di destra e, su quella di sinistra, il Comune di Piazzo, guelfo e ben difeso dal fiume. Da vigilare era il confine Ovest verso le Valli Brembilla e Taleggio. All’incontro di queste due Valli era stato eretto il Castello della Regina, centro delle grandi lotte locali. Tra le famiglie guelfe sono da ricordare i Busi, che strinsero una pace con la famiglia ghibellina dei Pesenti nel 1397 (v. archivio notaio Gasparini De Mozzo). Ancora guelfi sono i Sonzogno, Ambrogio e Mascheroni; tra i ghibellini Gratiolo e Pesenti. Scontri sanguinosi percorreranno la nostra Terra impoverendola di uomini e di beni, lotte intestine che il Sommo Poeta ha così egregiamente deprecato nella Divina Commedia, orrori che continueranno fino al 1400, quando, con i trattati di Lodi e di Ferrara, essa entrerà a far parte della Serenissima. L’assetto amministrativo dato da Venezia lascia notevoli libertà garantendo la conservazione degli statuti locali; nonostante il perdurare di guerre con il Ducato di Milano ed il frequente passaggio di truppe straniere, anche a San Pellegrino la restituita pacificazione interna favorisce una crescita economica e sociale. Lo sviluppo dell’artigianato, unito alla rudimentale industria tessile della lana, aprirà alla Valle nuove prospettive. Sorgono nella contrada di Opelo la nuova Chiesa, a Piazzo Basso il convento di San Nicola e la successiva edificazione del nuovo ponte sul fiume Grembo che consentirà il collegamento con la sponda opposta. La contrada di Piazzo Basso è una delle più antiche e conservate nella sua struttura urbanistica: gli edifici formano una corte rettangolare addossata al fianco sud della chiesa di San Nicola. Il piccolo porticato e il ponte, risalenti al XV secolo, costituiscono le testimonianze più antiche. Nel 1482 si costituisce pure la Parrocchia di Santa Croce, staccata da quella di San Pellegrino, la cui motivazione, come viene registrata negli atti, è dovuta alla distanza dalla Parrocchia di San Pellegrino ed all’impraticabilità della strada “multum ardua et discriminosa”. Essa verrà consacrata nel 1492 (come dal documento delle “Effemeridi” di Calvi). Èimportante la segnalazione di questa terra perché testimonianza di nomi di famosi pittori quali: Francesco Rizzo, Francesco Simone, Vincenzo e Giovanni De Vegis De Galizzi, Girolamo da Santa Croce, la maggior parte dei quali dimorano e lavorano nelle botteghe venete e bergamasche (Tiziano e Moroni). Sotto la Serenissima acquista impulso il commercio e l’artigianato e si ha una spinta alla risoluzione della viabilità attraverso l’apertura e l’ampliamento della Priula che verrà successivamente allargata sia sotto la dominazione francese che sotto quella austriaca. Alvise Priuli (1592/93), con opere di allargamento e rettifica, con tagli nella viva roccia, apre una via adatta anche ai mezzi rotabili da Bergamo fino a Ca’ San Marco. Tale strada di collegamento viene ultimata nel 1598. Nel corso del XVI secolo la vita della Comunità è segnata da frequenti carestie, da alluvioni e dalla terribile pestilenza del 1630 che, a San Pellegrino, miete circa i due terzi della popolazione. Dopo il tramonto della Repubblica di Venezia, nel XVIII secolo, si succedono, nella Bergamasca, la Repubblica Cisalpina ed il dominio francese del Regno Italico di Napoleone. Ma nemmeno l’Ottocento austriaco, unitario, muta sostanzialmente il quadro socio-economico di San Pellegrino, per quanto l’Austria cerchi di guadagnarsi il favore delle popolazioni del Lombardo Veneto mediante la realizzazione di opere pubbliche di generale interesse e l’ istituzione di scuole gratuite in tutti i comuni, sperando di tenere sopito quel sentimento di liberazione nazionale che Napoleone aveva alimentato negli italiani militanti nel suo esercito. Parte Seconda Giuseppe Bergamaschi, nella sua “Guida sull’uso pratico delle acque di San Pellegrino ( Bergamo,Mazzoleni,1839) scriveva “…la sorgente minerale celebrata da tempi remoti è di polla perenne assai abbondante…”, quanto allo stabilimento diceva “…il locale ha stanze ben costruite, nette, ben provveduto di mobilie; le vasche di marmo pulitissimo; vi si trovano locali di ricreazione, oltre ogni soccorribile per gli ammalati, coi necessari apparati per i bagni a vapore, docce di varia forma, e a diverse altezze cadenti sul corpo per applicarle alle diverse infermità. A tutto ciò vuolsi aggiungere un buon numero di comodi fabbricati, di alberghi qua e là spersi nel villaggio a disposizione del forestiere…”. Sempre il Bergamaschi indica che da Bergamo si raggiunge San Pellegrino percorrendo la strada Regia…”, e cita anche “una seconda sorgente piuttosto copiosa scoperta nel 1838 per caso, in un fondo di regione del sig. Giuseppe Salaroli”, scoperta che ha dato luogo a gare e a dispute per la concorrenza con la fonte primaria. Nel 1841 la signora Ester Palazzolo, divenuta unica proprietaria, chiede di procedere alle opere di ampliamento del suo stabilimento; il risultato di queste migliorie è così riportato nelle “Nuove considerazioni teorico pratiche delle acque di San Pellegrino del Dott. Achille Filippini Fantoni (Bergamo, Crescini 1846) … “alla naturale salubrità e aminità dell’ubicazione…la provvida saggezza dei proprietari di dette acque minerali ha aggiunto la bellezza, comodità, eleganza ed ampiezza di appositi stabilimenti… con numerose stanze da letto ben areate e comode vaste sale di conversazione, caffè, cortili, giardinetto, ottimo servizio,…” Il 1848 segna per San Pellegrino una tappa importante per il riacquistato interesse intorno alle sorgenti di acque minerali, interesse che si accentuerà sotto il dominio austriaco, segnando la premessa della fortuna futura del territorio. L’Austria divide la provincia bergamasca in tre distretti: Almenno, Zogno e Piazza Brembana; San Pellegrino viene assegnato a Zogno. Sta di fatto che il quadro generale economico non cambia sostanzialmente; si modificano invece i flussi migratori che, dopo la metà del secolo, trovano nuovi sbocchi in Francia, in Svizzera e nelle Americhe. Sempre 1848 San Pellegrino diventa rifugio di numerosi parenti di patrioti impegnati a guidare l’insurrezione di Bergamo che si accompagna e segue alle Cinque Giornate di Milano. La persona più eminente di questo periodo è la consorte del patriota G.Battista Camozzi, Giovanna Giulini Della Porta in Camozzi, la quale trova rifugio insieme ad altre famiglie di Bergamo nell’ospitale stabilimento della signora Ester Palazzolo, mentre il marito e il cognato, legati a Mazzini e Garibaldi, sono impegnati nella lotta di insurrezione. Esiste un lungo carteggio tra la Contessa – che scrive proprio da San Pellegrino- e i sui cari in cui viene messo in luce il vivace patriottismo della stessa che condivide le sorti del marito e dei familiari. Tra i fuggiaschi che da Bergamo si rifugiano in Valle Brembana nel 1848, all’indomani della disfatta di Novara, per il temuto ritorno dell’Austria, si trova pure il poeta Ruggeri da Stabello che, nei suoi testi “Poeti e Poemi del Brembo” rievocherà il percorso della sua fuga. Dopo la terribile sconfitta e la perdita di ogni speranza con la capitolazione di Brescia, trovano ospitalità nell’ottimo salotto della signora Palazzolo, proprietaria dei bagni di San Pellegrino, patrioti, poeti e uomini di cultura. I rapporti di amicizia dei fratelli Camozzi con i patrioti della Valle e di San Pellegrino, facilitano di molto la diffusione della propaganda e l’arruolamento dei volontari alle guerre di Indipendenza; fra questi si ricordano Orlandini G., Frassoni P., Zanchi P., Baroni B., Gandi D. e numerosi altri. Dal carteggio del Cap. Rag. Carlo Della Chiesa risultano altresì numerosi sampellegrinesi arruolati tra i garibaldini: Astori F., Pesenti F., Baroni A. e altri. Nel 1860 con la proclamazione del Regno d’Italia e la divisione del territorio in province San Pellegrino ha il suo primo Sindaco nella persona del Rag. Carlo Della Chiesa che amministrerà il decennio 1861/1870. La prima preoccupazione dell’Amministrazione comunale è quella di aprire una farmacia che verrà realizzata in San Pellegrino con decreto del Ministero dell’Interno il 21 luglio 1862. Il primo farmacista è il Dott. Mosè Torricella, illustre garibaldino, seguiranno altre personalità illustri tra cui il Dott. Augusto Bonapace, coadiuvato dal figlio Ermanno. L’Amministrazione Della Chiesa si adopera altresì ad ottenere la linea telegrafica San Pellegrino- Bergamo. Nel 1871 Augusto Beaux apre il primo stabilimento filatoio, sotto la chiesa parrocchiale, utilizzando la larga disponibilità di rogge derivate dal Brembo come forza idraulica dei macchinari tessili, e la manodopera femminile già specializzata nella Valle ed in San Pellegrino, con l’assunzione anche di orfanelle come operaie con la sola retribuzione del vitto, del vestiario e dell’alloggio; quest’ultime cesseranno la loro attività nel 1904 con la chiusura dello stabilimento. Succederanno al setificio di Augusto Beaux lo “Iutificio Bergamasco”, fino al 1913, e lo “Iutificio Nazionale” per le vaccherie che funzionerà fino al 1961. Un progetto importante per l’utilizzo della sorgente del Boione, con interventi di canalizzazione, viene attuato grazie all’intervento di un commerciante di legnami dell’alta Valle, Andrea Ambrosioni, che trasferitosi con la sua attività in San Pellegrino, doterà il paese, nel 1898, di luce elettrica. Nel 1908 si costituisce la società Colleoni – Ambrosioni a cui va il radicale rinnovamento del centro tra il Viale Papa Giovanni e il viale Della Vittoria con l’ampliamento dell’Hotel Excelsior e la costruzione nel 1930, lungo il viale alberato, in luogo delle baracche in legno, degli attuali portici. Alla fine del XIX secolo, si assiste ad un effettivo cambiamento della struttura economico-sociale di San Pellegrino nonché del suo piano urbanistico. L’apporto di capitali considerevoli dalla Società Anonima delle Terme, da società private (Pesenti, Licini, Palazzolo; società milanesi Mazzoni, Granelli) dà il via ad una serie di costruzioni legate al termalismo, alla qualità dell’acqua, di seguito riconosciuta in tutta Italia tale da fare diventare San Pellegrino la “Vichy d’Italia”. Nel 1901 si inaugura lo stabilimento dei Bagni e della Sala Bibite; dal 1902 al 1907 si assiste alla costruzione del Grand Hotel e del Casinò realizzati dall’architetto Squadrelli con la collaborazione, per il primo, dell’ingegner Mazzocchi. La realizzazione della ferrovia che attraversa la Valle Brembana, terminata nel 1904, costituirà un’importante via di collegamento con la città di Bergamo. Nel 1914 anche le scuole che già erano state aperte, con sede non definita, per l’insegnamento” dell’istruzione religiosa, del leggere, dello scrivere, dell’aritmetica, della calligrafia, della grammatica” (da Notizie Patrie), trovano la loro ubicazione nell’edificio attuale sito nel rione di Piazzo Basso, edificio che vedrà diversi ampliamenti e dove tuttora si trova. Nel 1926 l’asilo infantile, come istituzione benefica, aperto nel 1891, viene eretto ad ente morale e vede la sua espansione ed ampliamento nel 1936, grazie all’opera del benefattore Ezio Granelli, il cui figlio, tragicamente scomparso, dà denominazione di “Giardino d’infanzia Bruno Granelli” alla rinnovata sede. L’Amministrazione Comunale dà il via ad un programma di strutture urbanistiche che vedono uno sviluppo economico locale in ascesa determinato dall’esportazione dell’acqua minerale, dall’impresa elettro meccanica del gruppo Magrini e parallelamente alla trasformazione della cittadina grazie ad attività edilizie (dal Casinò, al Grand Hotel, dalla Funicolare alle Terme ,ecc) che esprimono il fervore e l’entusiasmo della Belle Epoque. La presenza di personalità illustri, come viene riportata dal Giornale di San Pellegrino, dalla regina Margherita Di Savoia a Mascagni, Tittoni, Nigra, serve ad offrire non solo una cornice di richiamo e di prestigio, ma anche di importanza come luogo di cultura e di arte. Ma ciò che maggiormente concorse, insieme al complesso di opere e di personaggi autorevoli, a segnare l’ascesa trionfale di San Pellegrino fino a toccare floridezze mai viste come negli anni precedenti alla prima guerra mondiale, fu l’esercizio quasi ininterrotto del gioco nel decennio 1907/1917. Un cronista così scrive sul Giornale di San Pellegrino nel 1911: “…Nelle sale del grande Casinò, arredate con squisito buon gusto e scintillanti di luce, si legge, si suona, si danza, si conversa, si giuoca… ma per accedere alle sale da giuoco, è necessario essere iscritti alla Società del Casinò, previa regolare presentazione: a questa società appartengono gli elementi più cospicui della colonia: senatori, deputati, prefetti, ambasciatori, alti gradi dell’esercito.” Nel 1917 l’onorevole Orlando decreta la chiusura delle case da gioco e il nostro Casinò, chiude i battenti il 28 luglio del 1917, concludendo il decennio della sua più florida attività. Interessanti sono le rievocazioni della Belle Epoque di San Pellegrino fatte da Corrado Pizzinelli in un articolo del 1949 su “Le Vie d’Italia” in occasione dei cinquant’anni delle Terme di San Pellegrino e di Umberto Ronchi per L’Eco di Bergamo, 1957. (V. San Pellegrino Terme, G.P.Galizzi ,1971, p.356-358). Parte Terza San Pellegrino vive momenti difficili, come del resto tutta la realtà del Settentrione, a seguito degli avvenimenti bellici che, nel determinare dolori e morti, causano altresì un’irreparabile depressione delle facoltose correnti turistiche che alimentavano la stazione termale. Nel periodo fascista si scioglie l’Amministrazione Comunale e si succedono Commissari e Podestà fino alla liberazione. Di questo periodo diverse sono le costruzioni: il Tempio dei Caduti, la facciata della Clinica Quarenghi (Arch. Cavallazzi) e i Portici Colleoni; ma è stato un modesto commissario prefettizio, Ernesto Cacciari, a disegnare l’assetto urbano dell’attuale cittadina, con una serie di opere (dal municipio, ai marciapiedi dei viali alberati, dalla copertura del canale alla costruzione della diga, dalla messa in posa di balaustre sulla sponda del Brembo con candelabri di ghisa alla costruzione di vialetti e di aiuole, ecc). Il ventennio fascista, nella realtà di San Pellegrino, testimonia l’abilità dei dirigenti locali nel controllare con intelligenza e tolleranza tutte le forme estreme di convivenza e nel consentire la presenza di sfollati cittadini, soprattutto Ebrei milanesi, e di alcuni parlamentari aventiniani, tra i quali l’On. Bortolo Belotti di Zogno. Dopo la guerra, la comparsa delle medicine che curano la gotta fa la fortuna delle farmacie ma favorisce, nel contempo, il declino di San Pellegrino come stazione termale. Oggi della Belle Epoque non restano che alcuni edifici splendidi che riportano alla memoria l’eleganza e le feste di un tempo passato. In questi ultimi anni la cittadina ha tentato di realizzare delle strutture urbanistiche e socio economiche per avviare il decollo e seguire le nuove esigenze di un turismo moderno. I recenti impianti del centro medico termale costituiscono un elemento di ricchezza per il turismo. Inoltre gli avvenimenti musicali e teatrali realizzati al Casinò dimostrano che le attività culturali sono realizzabili e necessarie. Tra il 1960 e il 1990, l’Amministrazione Comunale ha dato avvio ad una serie di operazioni immobiliari e di servizi (centro giovanile, centro civico ed edifici scolastici…) inoltre, di recente, sono stati realizzati nuovi progetti di miglioramento, di adattamento ed ampliamento della strada statale – la provinciale 470 che percorre la Valle Brembana – che hanno contribuito certamente a rendere più agevoli i collegamenti tra la Valle e la rete stradale nazionale. Si tratta di un tentativo vero e proprio per rilanciare l’economia del territorio della Valle.