dove: | Amy d Arte Spazio Via Lovanio 6 |
data: | da mercoledì 6 marzo 2024, alle 18:30 a martedì 26 marzo 2024, alle 00:00 |
intrattenimenti: | |
info sul luogo: | |
Qui trovi maggiori informazioni su questo evento |
Organizzazione: | Amy d Arte Spazio |
Referente: | Anna d’Ambrosio |
E-mail: | Contatta il referente |
Telefono: |
A cura di Susanna Vallebona
Tutto parte da Un coup de dés di Mallarmè, sia per quanto riguarda le avanguardie artistiche del primo novecento, che tra le tante rivoluzioni (dadaismo, poesia visiva, fluxus e arte concettuale) porteranno nel 1952 alla prima rappresentazione di 4’33” di John Cage, sia per quanto riguarda la poetica sulla quale verte la ricerca artistica di Manuela Bertoli.
Figura fondamentale quella di Cage. Esegue collage sonori, per dare valore al silenzio e plasmare i rumori trasformandoli in musica. Introduce il caso nella creazione artistica attraverso l’adozione di un metodo per realizzare l’opera d’arte, assimilabile alla ricetta culinaria. Nei suoi spartiti non dispone note, ma azioni da svolgere per prendere le distanze emotive dal proprio lavoro e lasciare spazio all’imprevisto.
Per Cage e Fluxus il caso è apertura zen agli imprevisti del vivere. Si contrappone al caso scientifico, legato soprattutto alle scoperte di Heisenberg che hanno influenzando il pensiero del novecento, concorrendo a trasformare definitivamente l’opera d’arte da “oggetto” a “processo”.
Il principio di indeterminazione ha infatti influenzato molta della musica sperimentale elettromagnetica ed elettronica degli anni ‘50/’60.
I quattro autori a cui si riferiscono le opere in mostra, Olivier Messiaen, Iannis Xenakis, Gyorgy Ligeti e Edgar Varèse, (il cui lavoro musicale come quello di Xenakis, spesso è collegato alla spazialità dell’architettura), adottando la pratica del collage e dell’assemblaggio, superarono la distinzione tra suono e rumore e introdussero nelle proprie composizioni, elaborazioni di elementi sonori “altri”, come ad esempio il canto degli uccelli nell’opera di Olivier Messiaen.
Una modalità che ha segnato molta della ricerca artistica del Novecento, non solo in ambito musicale.
Testimone dello stesso momento storico Enrico Castellani enunciava “Il bisogno di assoluto che ci anima, nel proporci nuove tematiche, ci vieta i mezzi considerati propri al linguaggio pittorico”1. L’opera è il risultato di un processo che non progetta un prodotto ma una presenza, nella quale l’artista introduce la propria esperienza e la propria artisticità.
Un’indagine fonte di ispirazione anche per Manuela Bertoli dal punto di vista linguistico, semantico e strutturale, fra musica e arte visiva, che la induce a
esplorare le diverse possibilità di ibridazione legate al desiderio di superare le divisioni tra gli strumenti di espressione.
Ogni materiale che si presta alla narrazione è degno di essere scelto.
Manuela Bertoli utilizza quelli che giudica più idonei a esaltare la similarità strutturale con il brano musicale scelto e che le consentono di rendere visibile la musica attraverso la luce.
Una luce dinamica e vibrante per le onde sonore degli spettrogramma Ionisation, Poème eléctronique, Atmosphère e Mylar ebony, aggressiva quando riflessa dalla superficie plastica dei tamburi di Ensemble Pleiades, morbida e leggera come l’impronta di Touche.
Una luce che è materia tattile, necessaria alla definizione di un’opera sinestetica e interattiva, come nei monocromi Ciels Magnetiques e ancora di più nei libri d’artista, veri e propri pentagrammi di luce, il cui spazio specifico, con la sua sequenza ritmica, accende il desiderio di toccare e la voglia di accarezzare si fa prepotente.
Opere che, come osserva Flaminio Gualdoni, Manuela Bertoli realizza con “meticolosità feroce”.
Secondo Italo Calvino un’opera del XXI secolo avrebbe dovuto possedere almeno cinque requisiti: la leggerezza, la molteplicità, la rapidità, la visibilità e l’esattezza. L’ultimo sicuramente appartiene alle composizioni di Manuela Bertoli, che sono frutto di un paziente assemblaggio reiterato e preciso volto alla creazione di una superficie uniforme, di una texture solo apparentemente omogenea. Ma come ormai ben sappiamo, anche nella programmazione più accurata, la casualità non si può eludere e la luce vibra e accende, con la superficie, l’emozione.